mercoledì 16 febbraio 2011

LE PAROLE “FERISCONO” (non è solo questione di emotività)

da http://www.portup.net/index.php?option=com_content&task=blogcategory&id=67&Itemid=103

PUBBLICATO SUL MENSILE WHAT'S UP

LE PAROLE “FERISCONO” (non è solo questione di emotività)

di Martina Celleno



I neurobiologi dell'Università di Jena, in Germania, sono giunti alla conclusione che le parole possano ferire e provocare dolore più di quanto immaginiamo. Dopo aver analizzato la "materia grigia" per misurare la sofferenza individuale a stimoli verbali negativi, l'equipe del professore Thomas Weiss è arrivata alla conclusione che gli stimoli verbali "accendono" le stesse aree cerebrali di quando ci si fa "male". I pazienti hanno ascoltato termini spiacevoli o in qualche modo collegati alla comune idea del dolore fisico lasciando modo agli studiosi di poter osservare le reazioni fisiologiche che questi stimoli hanno scatenato. I risultati sono soprendenti. Ne parliamo con lo stesso prof Thomas Weiss, raggiunto in Germania da What’s Up.

Come è nata l'idea studiare le similitudini tra il "dolore fisico" ed il dolore causato dalle parole pronunciate?

L'idea è nata durante una discussione sul funzionamento del cervello. Al momento crediamo che la memoria sia organizzata come una serie di reti distribuite nel cervello che hanno bisogno di uno stimolo per essere attivate. Se è così, ci si potrebbe ragionevolmente aspettare che le parole e il dolore fisico attivino, almeno in parte, le stesse reti che costituiscono la cosiddetta “matrice del dolore”.


Come avete sviluppato la ricerca?

Abbiamo analizzato i questionari riguardo a temi ben definiti e compilati dal personale che lavora in ambulanza, quindi quotidianamente a contatto con il dolore. Quindi organizzato le parole in categorie: neutro , positivo e negativo. I risultanti 156 aggettivi sono stati poi ulteriormente valutati da 30 soggetti relativamente alla loro validità, all'eccitazione provocata e alla affinità con il dolore. Abbiamo così scelto 10 parole di ogni categoria per lo studio definitivo.


Quali di queste parole hanno creato il maggior "dolore"?

La categoria più interessante è quella delle parole collegata al dolore fisico. Le parole utilizzate sono state “atroce”, “paralizzante”, “estenuante”, “allettante”, “affliggono”, “pungente”, “spremitura”, “foratura”, “coliche” e “crampi”. Questi termni appartengono alla comune descrizione ed immagine del dolore. Nel complesso, il più profondo "dolore" si è riscontrato con la parola "straziante", anche se abbiamo notato una enorme varianza individuale.



Nell'opinione pubblica è noto alcune parole possono essere veramente dolorose se a pronunciarle è chi ci è vicino. Ora sappiamo che la reazione non è solamente emotiva, ma ha anche una componente fisiologica. Quanto conta invece il contesto?


Penso che siano egualmente importanti, il significato e il contesto. Il significato puro dei termini può effettivamente cambiare la nostra percezione del dolore, un po' come quando sentiamo il trapano del dentista e sappiamo che proveremo dolore. L'organizzazione del nostro cervello risponde a stimoli che conosce.


Esistono differenze tra uomini e donne nel vostro studio?

Non ho una risposta ancora, il nostro gruppo di soggetti, 16 di cui 8 donne, era troppo limitato per valutare delle differenze di genere.


A livello puramente pratico e di sensazioni: il dolore derivato dalle parole come è paragonabile a quello fisico?

Il risultato non è identico in questo studio. Abbiamo solamente trovato una chiara attivazione delle stesse aree del cervello, nessuno dei soggetti ha provato un dolore "fisico reale" durante lo studio. Crediamo quindi che le parole stimolino queste strutture cerebrali al di sotto della soglia della percezione.


Crede che sarà possibile con il tempo trovare qualche "parola magica" in grado di alleviare il dolore cronico?

Purtroppo no. Ci sono parole che possono alleviare il dolore non troppo forte, parole con un significato emotivamente positivo, ma non ci sono parole magiche. Queste parole e l'immaginazione sono già ampliamente utilizzati nella terapia del dolore psicologico. Ma non bisogna dimenticare che il dolore è essenziale per sopravvivere, nella sua fase acuta ha un ruolo di allarme fondamentale per l'organismo.


Potrebbe nascere, grazie ai risultati ottenuti da lei e dalla sua equipe, una nuova branca della medicina che studi la comunicazione verbale affiancando la medicina tradizionale?
Penso che sia una visione troppo ottimista. Ci auguriamo però che personale sanitario e pazienti pensino un po' di più al modo di comunicare tra loro. Il personale sanitario dovrebbe coinvolgere il paziente nelle decisioni offrendo le migliori opzioni possibili. Come è oramai noto l'aspettativa di alleviare il dolore si può attuare attraverso varie strategie, come indurre effetti placebo.


Crede che prima o poi si arriverà anche ad inventare un antidolorifico per le brutte notizie?
Spero che un giorno le brutte notizie saranno meno comuni di quelle buone. Un tale cambiamento nella coscienza sociale sarebbe un grande passo avanti per questo tipo di antidolorifico.

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